Quale Cai per il futuro?

Articolo di Elio Candussi

Il CAI da parecchi anni mi sembra una nobildonna un po’ in là con gli anni, che però fa fatica ad inseguire i cambiamenti di un mondo che si trasforma a gran velocità. Un nobildonna con un glorioso passato, quando era automatico consultarla se c’era un problema riguardante la montagna, in ogni settore.

Continua ad avere una sua autorevolezza su alcune tematiche come ad es. tutela ambiente montano, alpinismo giovanile, escursionismo seniores, scialpinismo, sentieristica, soccorso alpino, gestione rifugi, ecc.

Oggi però il CAI è uno dei vari protagonisti (o ”stakeholders” che dir si voglia) del mondo della montagna e, nei vari settori, è costretto a confrontarsi con altri soggetti nuovi e ad alta specializzazione.

Ma il nostro sodalizio sembra essersi un po’ richiuso in sé stesso, è diventato sempre più ”autoreferenziale”, cioè si confronta con i soci, ma troppo poco col mondo esterno. Ne è testimonianza la rivista ”Montagne360” che viene stampata in 200 mila copie a fronte di 300 mila soci, il che significa non viene distribuita né letta al di fuori del nostro ambiente.

Il CAI sembra anche misoneista cioè fa fatica a capire le novità dei nuovi frequentatori della montagna, con i nuovi sport o divertimenti offerti in ambito montano, col capitalismo sfrenato che impone la sua visione economicistica della natura, spesso irrispettosa dell’ambiente. La sua voce di protesta, quando esce sui media, solo raramente è ascoltata, soprattutto dalle istituzioni, a livello nazionale e regionale. Un esempio recente è il decreto legislativo n.40 del febbraio 2021, col suo famigerato art. 26 riguardo l’obbligo del kit di autosoccorso, dove il CAI non è stato ascoltato. Oppure a livello regionale dove la nostra opposizione alla creazione di certe superflue piste forestali e certi impianti di risalita per lo sci da pista non ha ovunque fatto breccia, né tra i cittadini né tra le autorità.

L’impressione è che CAI abbia un ruolo pubblico riconosciuto quasi soltanto per il Soccorso Alpino, la manutenzione della sentieristica o poco più.

Un’ultima considerazione riguarda il ruolo femminile nel nostro Sodalizio. In Italia le donne sono il 51% della popolazione, mentre nel CAI raggiungono solamente il 37% degli iscritti; per non parlare del loro modestissimo peso a livello direttivo, dai presidenti di sezione in su. Il CAI appare di fatto come una organizzazione misogina.

Per concludere credo che il CAI abbia bisogno di una profonda rifondazione strategica, riducendo la burocrazia interna ed i troppi organismi autoreferenziali, gravati da tempi di decisione geologici. E che debba aprirsi al mondo esterno, confrontarsi con i vari ”stakeholders”, trovare una propria collocazione e fare delle scelte.

Una sfida per la nuova Presidenza ed i suoi collaboratori.

Elio Candussi

Sono felice di pubblicare l’acuta analisi dell’amico Elio Candussi della Sezione di Gorizia e responsabile seniores del VFG, sull’attuale situazione del CAI.

Credo che contributi come questo siano determinanti per accrescere la consapevolezza della necessità di cambiamento, nella classe dirigente.

Cambiamento organizzativo, certamente, ma anche cambiamento culturale, nell’approccio alle diverse problematiche.

Se si vuole cambiare si può.

Antonio Montani